Ogni generazione cerca degli eroi con cui identificarsi, degli eroi a cui ispirarsi.
Per la mia furono i vietcong.
Tiziano Terzani – Pelle di leopardo
Cu Chi, si trova a circa 30km da Ho Chi Minh City ed è una località che è stata scenario della guerra combattuta contro gli Americani negli anni Sessanta del secolo scorso, un evento che ha segnato profondamente la Storia del Vietnam.
Ripensandoci adesso, a distanza di mesi, sono quasi certa di non essere arrivata a Cu Chi con il giusto stato d’animo. Non che si sia mai pronti per la guerra, questo no. Ma un viaggio mi fa sentire quasi sempre su di giri, la stanchezza è accantonata da parte per lasciare spazio alla scoperta, a volte alla meraviglia. Qui sono distratta da troppe cose: i chioschi all’ingresso che vendono cappelli da soldato semplice, i gruppi vocianti che si muovono come banchi di pesce azzurro, il caldo soffocante del primo pomeriggio vietnamita.
Appena entrati in un sito di tale rilevanza storica mi sarei aspettata silenzio, compunzione, raccoglimento. Invece Cu Chi è caduta nel rischio in cui vanno incontro i siti che diventano delle specie di Gardaland dell’orrore, un giochino per turisti ricchi in canottiera che non hanno minimamente idea di quello che hanno passato qui i vietnamiti.
C’è qualcosa che stona al mio sguardo e che non riesce a farmi concentrare sul video che ci proiettano in un italiano con pochi inciampi nel primo bunker sotterraneo in cui campeggia l’immancabile bandiera con la stella gialla su campo rosso. Sarà la signora che, con un bastone, raccoglie da terra i bollini che appiccicano addosso all’ingresso e che qualcuno si toglie subito, saranno i manichini dei soldati che spoetizzano l’ambiente (alcuni sono in carne e ossa, occhio a non sbagliarvi) ma a Cu Chi mi sono sentita un pesce fuor d’acqua.
A Cu Chi, però, di storia ce n’è eccome e sarebbe tutta da raccontare. Prima ancora della guerra contro gli americani, i vietnamiti hanno combattuto contro i francesi e fu allora che iniziarono a costruire una cittadella sotterranea che poi i vietcong ampliarono negli anni Sessanta, fino ad arrivare a una rete di oltre 250 chilometri di cunicoli e gallerie che giungevano fino alla città di Saigon. Incredibile a pensarsi, eppure sono proprio questi cunicoli che hanno dato un senso a questa visita.
Durante il percorso, infatti, oltre a strumenti di tortura disseminati per tutto il campo (come può la mente umana arrivare a tali crudeltà?) è possibile entrare nei tunnel in cui hanno vissuto per anni i vietcong. Considerate che, rispetto a come sono stati costruiti, sono stati ampliati nel corso degli anni per essere più a misura di turista.
Io li ho provati con la tipica spavalderia che mi contraddistingue nelle situazioni estreme, salvo poi pentirmi di questo ardire un minuto dopo essermi infilata nei pasticci. I primi attimi sono di curiosità, cominci a entrare nel buco col sorriso sulle labbra pronta per la tipica foto ricordo. Poi comincia a mancare la luce. Poi manca l’aria. Se qualcuno in fila carponi di fronte a te si ferma ti senti soffocare. Ecco cosa erano i tunnel di Cu Chi: un girone dell’inferno dove, incredibile solo a immaginarlo, hanno vissuto intere famiglie e dove sono stati dati alla luce 17 bambini nel corso degli anni di guerra. Sembra fantascienza, lo so. Invece è storia.
Uscire da quel tunnel è una liberazione, una boccata di aria fresca, la vita. Quando tutto l’orrore sembra avere fine ecco un cratere enorme creatosi in seguito all’esplosione di una bomba sganciata da un B52. Tutto intorno gli alberi maestosi che continuano a crescere nonostante tutto.
All’uscita si ha quasi voglia di trovarsi di nuovo in mezzo a quel casino di Ho Chi Minh City, tra quei milioni di motorini ammassati ai semafori e a quelle biciclette che fischiano sull’asfalto. Non prima di aver tristemente aggiunto un paio di macabri dettagli a questo posto: prima di uscire siamo passati da un negozio di souvenir in cui dei russi stavano acquistando elicotteri giocattolo per i propri figlioletti. E – orrore degli orrori – c’è pure un campo di tiro dove chiunque può esercitarsi con la pistola a colpire sagome di cartone.
Nonostante tutto, questo posto merita di esser visto per quello che è stato e per rendere onore a quelle vite umane che non sono sopravvissute alla furia del napalm e alla stupidità degli uomini.
Escursione ai tunnel di Cu Chi
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7 commenti
La Ste
Ti chiedo sicuro…
Mercoledì
Quando vuoi! :*
La Ste
Grazie, ti chiede to di sicuro!
La Ste
Non so se andarci oppure no, che dici Sere?!
Serena
Secondo me sì, io sono felice di esserci andata nonostante l’assurdità del campo da tiro dove turisti decerebrati vanno a sparare. L’impatto con questo posto è potente.
Ste per qualsiasi altro suggerimento o precisazione sono qui
Valentina
:O
Tutto un po’ assurdoInteressante però. Da visitare nonostante le contraddizioni! Io sarei curiosa di visitare i tunnel!! Il campo di tiro m’inquieta! Sembra un divertimento e sono sicura che molta gente si è divertita da matti! E’ un po’ come mettersi la divisa da Nazisti in un campo di concentramento e sparare a sagome disposte qua e là -.-
Mercoledì
Esatto! Veramente un posto assurdo ma che sono contenta di aver visto. I tunnel tolgono il fiato, pensare che là sotto ci hanno vissuto per anni delle persone è drammatico. Però non sono riusciti secondo me a rendere il luogo “sacro”, è più un giochino per turisti. Ma si impara da tutto, quindi ne è valsa la pena.