«E quando tutti se ne andavano e restavamo in due tra bicchieri vuoti e portacenere sporchi, com’era bello sapere che eri lì come una corrente che ristagna, sola con me sull’orlo della notte, e che duravi, eri più che il tempo, eri quella che non se ne andava perché uno stesso cuscino e uno stesso tepore ci avrebbero chiamati di nuovo a svegliare il nuovo giorno, insieme, ridendo, spettinati».
Julio Cortázar, “Dopo le feste”
Dice che la felicità non sia una meta da raggiungere, ma un cammino da affrontare ogni giorno. Bisogna ripeterselo come un mantra in quelle mattine in cui il suono della sveglia perfora i timpani, quando l’unica cosa di cui si ha bisogno è un contatto di pelle contro pelle a levigare i mali del mondo con un abbraccio.
Alla soglia di un nuovo anno faccio mie nuove consapevolezze, disfo una tela ricamata col tuo ritratto, la riproduco identica nel soggetto all’infinito, ne cambio solo i tratti che scopro a poco a poco: sono sempre più belli.
Se ho capito una cosa in questi anni è che non posso perdere tempo con quello che non mi va di fare, non ho voglia di dare udienza a tutti e farmi andare bene cose che mi angosciano.
Allento l’ambizione in favore della tranquillità, mollo le ossessioni di perfezione per far spazio a più umane fragilità, acchiappo al volo quanto c’è di genuino in ogni persona che incontro spogliandola dell’armatura. Mi rinfranco con la certezza che ci sei per me, nonostante i crucci che ti affaticano gli occhi, nonostante i pruriti che pur ci garantiscono che siamo vivi.
Indulgente con i miei spigoli e la mia cocciutaggine, leale con le mie debolezze, fiero con i tuoi tesori fai sì che ogni giorno sia un regalo. Non ho bisogno d’altro, al limite solo di cose che possiamo creare insieme.
[Foto di Vince Fleming su Unsplash]
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