Lago Titicaca. Perù. Pianeta Terra.
Con un’altra ora di navigazione dall’isola galleggiante degli Uros si raggiungono i 3950 metri di altitudine dell’isola di Taquile. L’assopimento dato dal dondolio sulle acque lisce del Titicaca svanisce nei 20 minuti di camminata in salita per raggiungere la piazza principale dell’isola.
Quello che stupisce non è tanto che a noi comuni mortali manchi il fiato dopo i primi dieci passi, quanto che gli abitanti dell’isola di Taquile debbano caricarsi sulle spalle tutti i prodotti necessari al sostentamento provenienti da Puno: li prendono al porto, li avvoltolano in quei loro coloratissimi teli e se li legano al collo, appoggiandoli sulla schiena.
Sfido chiunque a superare un peruviano carico come un mulo che affronta una salita: è geneticamente impossibile, bisogna farsene una ragione e accettare che ti sorpassi senza fiatone.
Una volta raggiunta la piazza principale si è sopraffatti dalla scala di blu offerta dal cielo che si specchia sul lago, interrotto solo dai 6000 metri di catene montuose boliviane perennemente innevate buco dell’ozono permettendo.
La vista toglie il fiato (come se ne avessimo tanto rimasto) e il dito clicca all’impazzata alla ricerca dello scatto perfetto, pensando che con molta probabilità quella è l’unica chance che la vita ti offre per avere la Bolivia a un palmo di naso.

L’incanto è parzialmente interrotto da bambini alti come un soldo di cacio ma esperti come uomini che ne hanno già viste tante nella vita, i loro occhi scuri hanno una scintilla di furbizia che mi impedisce di provare compassione per quelle condizioni estreme di vita in cui sono piombati per puro caso.
È tutto un “un sol!“, “propina!” e si fanno scattare foto solo su commissione. Pazienza se il turismo di massa ha raggiunto le profondità del lago Titicaca, il posto val bene questi espedienti per vivere.

La camminata prosegue nel giallo e nel verde dell’isola e tra una carpetta magra e una serie di baracche instabili si arriva al “ristorante” dove consumeremo il nostro pasto a base di zuppa di quinoa, trota fritta e mate de coca o mate de muña, una pianta simile alla menta.
Questo posto altro non è che un paio di tavolacci e panche di legno allineate su un panorama da sogno e su una raccolta di rifiuti a cielo aperto: poco importa il decoro quando si vive in mezzo al nulla, a chilometri dalla cosiddetta civiltà.
Il pranzo è ottimo e la compagnia pure, il tutto allietato dai racconti che fanno luce sugli usi e consumi dell’isola di Taquile.



È qui che capisco il senso dei diversi copricapi degli abitanti dell’isola: il colore simboleggia lo status maritale dell’uomo che lo indossa. Un cappello rosso è indossato solo dagli uomini sposati, i celibi hanno un cappello bianco e rosso, un altro tipo di cappello ancora più particolare è indossato dagli addetti all’ordine pubblico.
Gli uomini sposati, inoltre, indossano una cintura colorata cucita appositamente dalla moglie e una borsetta di tela per le foglie di coca.

Lo stesso vale per gli scialli, i pompon e le gonne delle donne. La donna nubile porta uno scialle nero decorato da un pompon multicolore, mentre la donna sposata indossa uno scialle nero con un unico pompon non troppo vistoso.
Sapere tutte queste cose mi ha aiutata ad apprezzare l’isola ancora di più e spero che queste tradizioni vengano perpetrate nei secoli perché quella è la loro volontà, e non a uso e consumo del turismo più becero.
Tornare a Puno in barca è stato come essere traghettati fuori da un sogno, come se dall’Isola che non c’è si dovesse tornare alla realtà. L’Isola di Taquile rimane nei miei ricordi come una delle immagini più appaganti del Perù e allo stesso tempo contornata da un’aura di impalpabile e incorporeo: è proprio questa indeterminatezza che me la rende così splendente.
Se volete visitare sia le Isole degli Uros che quella di Taquile, vi consiglio un’escursione che le comprende entrambe: Escursione alle Isole degli Uros e Taquile
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2 commenti
Manuela
Hai reso questo mio lungo viaggio in treno decisamente piacevole.
Come ogni volta che capito sul tuo blog 🙂
Mercoledì
Grazie a te Manuela per le parole carine che spendi per me ogni volta! Buon viaggio!