Ti sveglierai sull’indaco del mattinoquando la luce ha un piede in terra e l’ altro in mare(Ti t’adesciàe ‘nsce l’èndegu du matinch’à luxe a l’à ‘n pè ‘n tera e l’àtru in mà)traduzione da ‘A cimma di Fabrizio De Andrè
Per quanto il metodo scientifico sia quanto di più lontano dalla mia forma mentis, sono sempre stata una che ha bisogno del riscontro empirico delle cose, ché i discorsi se li porta via il vento. Ricordo quei dettati infiniti delle elementari, quando una maestra all’antica si ostinava a inculcarci la geografia a suon di frasi di sussidiario, senza un’immagine che accompagnasse quelle mattinate così stipate di teoria e totalmente prive di senso pratico. A otto anni insenatura, golfo, delta, dogana, terrazzamento altro non erano che parole vuote: voci di un dizionario che non trovava riscontro nella realtà.

Non che da grande sia cambiato qualcosa, gran parte dalla smania di viaggiare che mi cresce dentro è dovuta a questa ricerca per smentire o confermare ciò che ho letto o ascoltato da altri. Tendo a non accontentarmi delle parole di cui pure mi nutro, devo esperire e dare un volto, un colore, una sensazione a successioni vuote di lettere.

La Liguria è questo per me, non puoi accontentarti dei depliant, devi vedere quei terrazzamenti con le serre dove nascono le primizie, che ti domandi come facciano a reggersi in piedi su quei lembi magri di terra a voler cercare lo spazio dove non c’è. La Liguria è quell’accento cantilenante che chiude rapido, con qualche asprezza tipica delle rocce e la mescolanza dei porti di mare; è terra orgogliosa di tradizioni e storie ansiose di uscire da bocche che hanno visto qualche primavera.

Levanto in particolare ha quella voglia di raccontarsi dei secondi della classe, quelli che sanno che le Cinque Terre a un tiro di schioppo sono più belle, ma con un po’ di applicazione e impegno si può arrivare agli stessi livelli. I secondi della classe sono quelli che sanno inventarsi soluzioni e giocano d’ingegno: ecco che compare una pista ciclabile che da sola vale il viaggio, una meravigliosa rampa di lancio tra cielo, mare e libertà. Questa strada che va da Levanto a Framura passando da Bonassola percorre le gallerie della vecchia ferrovia ed è sospesa tra luce e buio, con scorci sull’infinito bagnato dalle onde.

Levanto ha saputo raccontarsi anche in una giornata di pioggia di una primavera che non è mai sbocciata, ha riempito col conforto di cibi buonissimi un tempo potenzialmente infinito in attesa che smettesse di piovere. Quello che non ha potuto una spiaggia promettente e un mare ruggente di cavalloni e surfisti è arrivato sotto forma di racconti e alchimie dal passato, ha preso la forma di un giro del paese e di un pesto senza eguali. Ho lasciato a Levanto un mortaio col pestello, una bici con ancora tanti chilometri da macinare, un tramonto in solitaria, un indaco al mattino che non ho più rivisto e un addio che era un arrivederci.
Qui trovi un altro post su Levanto: “Guardando le cose da più prospettive: il ritorno a Levanto”
5 commenti
Mercoledì
@Valentina: come si fa l’emoticon che arrossisce? 🙂 Grazie Vale, sono felice di farti viaggiare tra le immagini almeno per quei minuti in cui leggi il post!
Valentina
Avrei voluto avere te come sussidiario!! Con le sole parole sai creare delle immagini stupende, e molto vicine alla realtà…
Mercoledì
@Silvia: leggere i tuoi commenti mi riempie di gioia! 🙂 Grazie a te!
silvia - idiaridellalambretta
bellissimo. ho sentito le onde, la bicicletta cigolare sulla pista ciclabile verso il cielo, ho annusato il porto, mi sembra di toccare quell’indaco.
grazie!