Vita da minatori: la Miniera del Ginevro a Capoliveri spiegata da Filippo Boreali

Scritto da Serena Puosi

Categorie: Italia

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Cosa significa essere minatori? Che vita conduceva la gente di miniera? Nei miei viaggi all’Isola d’Elba ho avuto l’onore di incontrare Filippo Boreali, uno dei cavatori elbani che per anni ha lavorato nelle viscere della terra al complesso di Miniere del Ginevro e di Calamita. Ho conosciuto Filippo nel suo settantesimo anno di età (70 anni portati in modo splendido tra l’altro) di cui 27 passati sottoterra in una delle miniere più produttive d’Italia.

Era il 2011 e io facevo parte del Social Media Team della Festa del Cavatore di Capoliveri. Filippo in quell’occasione ci ha accompagnati in quello che è stato il suo posto di lavoro fino alla chiusura della Miniera del Ginevro nel 1981. Siamo scesi fino a meno 54 metri sotto il livello del mare tra umidità, buio, rotaie e macchinari dismessi e abbiamo percorso non solo fisicamente ma anche storicamente quella strada con Filippo.

Filippo Boreali in miniera – Foto di Alessandro Beneforti

 

Vita da minatore

La vita del minatore è dura per antonomasia e Filippo ce ne ha descritto con partecipazione le caratteristiche: sveglia prima che il sole sorga, partenza da casa a piedi o con l’asinello negli anni 20 e 30 del Novecento e con l’autobus della miniera negli anni Sessanta quando lui è entrato a lavorare lì, pranzo portato da casa in un contenitore preparato dalla moglie con le stesse pietanze della cena della sera precedente.
Anzi, lui non l’ha definito pranzo ma “colazione”, visto che doveva essere consumata in massimo mezz’ora alle 10 di mattina nella sala mensa insieme agli altri trenta minatori. Il pasto del cavatore è chiamato “convio” e consisteva spesso in un tozzo di pane secco, cipolle e l’immancabile fiasco di vino.

Tra gli aneddoti che ci ha raccontato, Filippo ha ricordato con commozione quella volta in cui un minatore bagnò un tozzo di pane talmente secco da risultare non commestibile anche a un palato non avvezzo certo alla novelle cuisine e sentì uno dei capi della miniera commentare: “Guarda com’è pulito quel minatore, lava addirittura il pane”.

Sala mensa dei minatori e caschetti protettivi

Sotto terra

Filippo Boreali ci ha raccontato anche che i minatori non avevano nemmeno il tempo di distrarsi un attimo: l’obiettivo era fare un metro di scavo al giorno e tutto quello che facevano in più era pagato a cottimo, motivo per cui spesso si lavorava più velocemente del dovuto e senza badare troppo alla sicurezza. Esplorazione per l’estrazione del minerale, preparazione, coltivazione del minerale, fronte di abbattimento, candelotti, miccia, mine, volata, argani: queste le parole che Filippo ci ha insegnato e che sommate costituiscono quello che l’ex minatore ha definito un lavoro bestiale.

Filippo è entrato a lavorare nel complesso delle miniere di Calamita a soli 18 anni e alla domanda su come si sente a tornare in miniera ci risponde fissandoci un po’ con uno sguardo che la sa lunga, che pondera la risposta per non dirci solo che è stata una fatica disumana. Prima di congedarci ci ha detto che torna talmente spesso in miniera ad accompagnare gruppi di turisti e studenti che ormai non è più una cosa strana, ma all’inizio, poco dopo essere andato in pensione, era una sensazione di fastidio quella che provava al rimettere piede in quel luogo buio in cui ha passato gli anni migliori della vita.

Niente è più sentito e partecipato di un uomo che dice “Quando parlate della miniera parlatene bene” e che invita a tornare il giorno seguente per visitare insieme a lui, Cicerone d’eccezione, la miniera del Vallone perché “altrimenti la visita non è completa”.

 

[Foto di copertina: Il Social Media Team della Festa del Cavatore in miniera – Foto di Alessandro Beneforti]

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