10 lezioni americane: pensieri sparsi sul viaggio on the road tra California, Nevada, Utah e Arizona

Scritto da Serena Puosi

Categorie: USA

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Sono appena tornata da un grande viaggio che mi ha portato a conoscere una parte dello sterminato continente americano e a realizzare un sogno lungo una vita: un on the road negli Stati Uniti sud-occidentali tra California, Nevada, Utah e Arizona. Se si esclude il viaggio in Perù dal quale sono rientrata a pezzi dall’aver contratto quella che poi si scoprì essere epatite A, non c’è stata altra esperienza così provante come quella appena vissuta. Sono giorni che tergiverso davanti al computer in attesa dell’illuminazione decisiva per rimettermi a lavorare come si deve, ma la mente – così come tutta l’energia possibile – è rimasta là, tra paesaggi sconfinati e terra rossa, tra il freddo oceano Pacifico e una natura padrona dell’immensità.

Ci siamo imbarcati nell’impresa di percorrere circa 4000 chilometri in quindici giorni con due bambine di tre anni una e otto mesi l’altra, fermandoci a dormire ogni notte in un posto diverso e visitando ogni giorno parchi naturali, città e terre dimenticate da Dio ma non dagli uomini. Per molti potrà sembrare una pazzia e ammetto che sia prima sia durante il viaggio il pensiero ha attraversato anche il mio cervello, ma anche col senno di poi rifarei tutto, anzi, non vedo l’ora di ripartire per altre folli, appaganti avventure.

C’è una cosa che mi sta capitando sempre più spesso in viaggio da quando sono mamma: ci metto molto più tempo a rielaborare quello che ho vissuto, ho bisogno del dopo per ordinare i pensieri, collegare i puntini, farmi un’opinione di quello che ho visto. Imputo questa tendenza alla necessità di avere sempre una bella parte della testa impegnata ad accudirle, ad ascoltarle, a dare spiegazioni alla più grande, nutrimento alla più piccola, ma è una teoria tutta mia, se qualcuno che mi legge sa darmi spiegazioni diverse sarebbe un tema interessante da approfondire.

Quella che ho appena fatto può sembrare una divagazione fine a se stessa, in realtà mi serve a giustificare almeno in parte questo post che sto scrivendo e pensando sul momento, senza canovaccio, seguendo il flusso dei pensieri che si è accatastato nella mia mente e che non ho avuto modo di elaborare mentre ero in quell’America che tanto ho sognato tra film, libri e diari di viaggio. Ho bisogno di questo tempo solitario davanti allo schermo per tirare il fiato e mettere in fila tutto quello che ho visto, archiviarlo nei ricordi non solo come un posto da spuntare, ma come esperienza che mi ha insegnato qualcosa, che si è sedimentata.

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Questo post è uno zibaldone di riflessioni in ordine sparso che non servirà a niente a livello di ricerca organica del blog né probabilmente a voi per organizzare un viaggio, ma che è utile a me per fare pulizia di pensieri. Sento più che mai la necessità di tornare alle origini di questo blog, quando me ne fregavo delle prestazioni numeriche e passavo le ore sulla tastiera per la gioia di scrivere e condividere, quando avevo una purezza d’ideali e di scrittura che magari sarà stata anche ingenua, ma che mi aiutava a svuotare la mente e a mostrarmi per quella che sono veramente.

Ho voglia di tornare a quel modo di scrivere, di raccontare i viaggi senza aver paura del giudizio altrui, di fare citazioni senza sentirmi stupida, di non vergognarmi a raccontare se qualche cosa è andata storta o diversa da come avrei voluto. Di essere sincera. Di apprezzare le piccole cose.

È ora di passare al sodo: ecco 10 pezzetti d’America in ordine sparso, 10 lezioni che porto a casa da questo viaggio raccontate così come le ho vissute sulla pelle.

1. Si può piangere di gioia

Per tutti i genitori il pianto è qualcosa di molto familiare: i neonati piangono per la fame, per il freddo, perché devono essere cambiati, per il sonno, per il bisogno di contatto. Dopo, quando sono bambini un po’ più grandi, piangono per affermare le proprie idee, per ottenere le cose che non sanno ancora esprimere a parole, perché le cose non vanno come avrebbero voluto loro, perché qualcosa li rattrista.

Durante questo viaggio ho dimostrato alle bimbe che si può piangere di gioia: mi è successo almeno tre volte, scoppi di pianto improvvisi, gioia incontenibile che non aveva senso trattenere. La prima volta è successo sulla strada a innumerevoli corsie che collega Los Angeles alle colline che la circondano: dal nulla, sulla destra, è comparsa la scritta Hollywood e io sono scoppiata a piangere, o più precisamente ridevo e piangevo allo stesso tempo. Ero tentata di incolpare la stanchezza, il viaggio intercontinentale, il fuso… ma la verità era che stavo comprendendo che ero lì a prendermi un sogno e questo si chiamava America: c’è qualcosa di più simbolico della scritta Hollywood per rappresentarlo? La più grande è rimasta un po’ basita, ma spiegandoglielo ha capito: una felicità incontenibile, sognata a lungo, può manifestarsi anche con le lacrime.

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2. Sentirsi grati. Vivere in un sogno. Sentirsi parte di un vissuto antico.

La seconda volta dalla lacrima facile è stata entrando per la prima volta in macchina nel cuore di San Francisco arrivando dalla Silicon Valley: erano anni che volevo visitare San Francisco, che la costruivo a parole, che immaginavo nelle gambe i suoi saliscendi. Eravamo in quella macchina da qualche ora ormai e trovarsi tra discese ardite e le risalite (cit.) come su un ottovolante mi ha fatto sentire bambina, ad armi deposte, genuinamente sorpresa, consapevole di stare vivendo un regalo della vita.

Ho pianto di gioia e quella gratitudine che sentivo così prepotentemente mi ha accompagnato per tutti e due i giorni più stanziali di questo viaggio. San Francisco mi ha dato la sensazione di essere una di quelle amiche d’infanzia che non vedi mai ma con le quali basta un attimo per ritrovare il feeling.

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3. Quando un posto ti sembra di averlo già visto

L’America è un déjà-vu. L’America è quel territorio sconfinato di cui sentiamo parlare da sempre, dove almeno un amico di ognuno ha un conoscente emigrato all’inizio del Novecento e dove molti di noi sognano di andare, è quel posto che senti nominare per i più svariati motivi, ago della bilancia del mondo moderno, croce e delizia della modernità. È il posto in cui sono ambientati libri di scrittori che non si possono non aver letto, il posto dei miti e delle tendenze, della maggior parte dei film e delle serie televisive che guardiamo. Ognuno di noi, volente o nolente, è impregnato di cultura americana fino al midollo. Quindi quando sei lì tante cose ti sembra di averle già viste perché in realtà fanno già parte di te. È stranissimo e normalissimo allo stesso momento.

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4. La misura dell’immensità

La Treccani definisce l’immensità come “L’essere immenso; estensione smisurata, infinita grandezza”, ma la verità è che la mente non può concepire bene questo concetto finché non si va in America. E non mi riferisco solo alle porzioni sconsiderate di patatine fritte che arrivano in tavola con ogni portata o ai SUV d’ordinanza con le gomme più alte di me, ma agli spazi, alla natura, al NIENTE. Le strade americane – non tutte ovviamente, ma molte – passano per decine e decine di chilometri nel mezzo al niente inteso come urbanizzazione: sono infinite pianure, infiniti altipiani, infiniti paesaggi senza la traccia di un insediamento umano, solo natura. Questa è la misura dell’immensità e in questo territorio sterminato puoi decidere se sentirti perso o sentirti ridimensionato.

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5. La perfezione di un attimo

Possono esserci diversi momenti importanti durante un viaggio e questi vanno a comporre il quadro generale che si trasformerà poi in ricordo. Di tutte le tessere del puzzle, ce n’è una che custodisco con più cura, perché ricordo di aver pensato che quello era un momento perfetto, da accarezzare e tirare fuori nei momenti più duri. Eravamo appena riusciti in un’impresa su cui nutrivo qualche dubbio: percorrere il Navajo Loop Trail nel Bryce Canyon portando la piccolina nello zaino e facendo camminare su quelle salite e discese la più grande. Non era scontato che lo volesse fare, eppure è stata entusiasta dell’avventura e anzi, trascinava noi con tutto il suo entusiasmo. Oggi mi viene da dire che il Bryce Canyon sia l’esperienza che più ho apprezzato di tutto il viaggio e questo dipende dall’incastro di tutte le tessere, anche quelle più piccole, anche quelle che non sai mai dove vanno perché sono immensi cieli blu suddivisi su mille pezzi tutti uguali. Non lo so se il Bryce Canyon sia la cosa più bella vista, so solo che quello è stato un momento perfetto.

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6. Non dare nulla per scontato

C’è una cosa che chi lavora con la comunicazione si sente ripetere all’infinito: mai dare nulla per scontato. Mettersi nei panni dell’altro, parlare la sua lingua, usare un linguaggio compreso dall’interlocutore sono pane quotidiano nella comunicazione, eppure a volte facciamo fatica a ricordacelo. In America stai pur certo che, se devono comunicarti qualcosa, lo fanno fino allo sfinimento. L’ho notato per strada, dato che ci abbiamo passato molte ore è stata una grande maestra di vita. Se c’erano dei lavori, qualche chilometro prima trovavi il cartello “Be prepared to stop”, se c’era un semaforo, qualche metro prima trovavi il presegnale semaforo, se la strada si stringeva più avanti trovavi il presegnale “Road narrows” (per una panoramica completa dei segnali stradali americani fatevi un giro sulla pagina dedicata su Wikipedia). Insomma, loro ti avvisano, non danno nulla per scontato, nemmeno che tu non possa entrare in un teatro con armi: infatti, c’è il cartello anche per quello (sigh).

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7. L’ottimismo e il pessimismo vanno a braccetto

Gli Stati Uniti sono la terra delle grandi opportunità: dallo zio d’America ai lavori creati dal nulla, dalla Silicon Valley alla possibilità di reinventarsi una vita, quando pensavo all’America mi sembrava che magicamente tutto fosse possibile. Dopo questo viaggio penso ancora che sia una terra di grandi occasioni, ma allo stesso tempo due o tre aspetti me l’hanno fatta vedere anche a livello più pessimistico. Un aspetto non trascurabile e per il quale ho sentito un grande fastidio è la cultura dell’usa e getta: in un tempo in cui ogni gesto è prezioso per salvare la nostra Terra, vedere chili e chili di cibo avvolto dalla plastica anche inutilmente mi ha fatto stare male. Singoli frutti messi in una confezione di plastica. Insalate nella plastica. Doggy bag di materiali impossibili da riciclare. Hotel sprovvisti di raccolta differenziata… per quanto si possa scegliere di essere consumatori attenti e critici, ho fatto difficoltà a trovare prodotti a basso impatto ambientale. Non credo che ai ritmi dell’inquinamento americano ce la faremo.

Un altro aspetto di forte pessimismo mi è venuto dall’individualismo di questa nazione, cosa che si nota molto nelle città, come ad esempio a San Francisco a due passi da Union Square pullula di persone abbandonate a se stesse, senza fissa dimora e con evidenti problemi mentali. Anche i vecchietti soli a fumare davanti alle slot machine spersi nel deserto del Nevada mi hanno fatto provare una grande tristezza. Ovviamente sono discorsi che meriterebbero un approfondimento e che non possono essere sviscerati qui, volevo solo dire che ho provato tante sensazioni diverse durante questo viaggio, sempre a cavallo tra l’ottimismo e il pessimismo.

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8. Se non mangi carne hai un problema

Se siete onnivori in America non avrete alcun tipo di problema e se amate la carne siete assolutamente nel vostro posto nel mondo. Io però la carne non la mangio, e talvolta i pasti sono stati uno strazio.
Costolette.
Bistecche.
Hamburger come se piovesse.
E poi in fondo al menù, se proprio non vuoi uno dei tanti piatti di carne, c’è l’opzione vegetariana. Col pollo però. Aiuto.
Anche la scelta di insalate al supermercato era complicata: insalata con pezzetti di bacon. Insalata con prosciutto. Insalata con ogni ben di Dio ma guai a essere solo vegetale. Non so come facciano a campare con tutta quella ciccia nelle loro diete, ma gli strati di grasso visti in giro danno una risposta al mio dubbio.

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9. La smania di vedere tutto

Quando pensavo a questo viaggio prima di partire e facevo mappe con infiniti punti e liste di cose da vedere, mi ripetevo tra me e me che era impossibile fare tutte le esperienze che meriterebbero di essere fatte. C’era sempre qualcosa di troppo, troppi chilometri, troppa strada, troppi interrogativi “e se poi le bimbe non ne possono più?”. La verità è che un viaggio del genere è solo un assaggio, è un arrivederci: arrivederci America bella, voglio tornarti a trovare appena possibile per fare tutto quello che ho tralasciato.

Come respirare l’atmosfera della Monument Valley.
Come passare dentro una sequoia.
Come fare un brunch con calma.
Come scattare tutte le foto che sono rimaste solo nelle mie palpebre, probabilmente le più belle.

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10. Un posto in cui ho voglia di tornare

Non l’avrei mai detto prima di partire, ma quest’assaggio dall’immenso buffet dell’America mi ha fatto venire voglia di averne ancora e ancora. Non sono una sostenitrice della grandezza americana, non porto l’America in un palmo di mano, sono sempre pronta a puntare il dito su tutti i suoi errori ma questa parte di mondo mi ha steso al tappeto. Ho voglia di fare un altro road trip, di divorare strisce d’asfalto, di vedere le grandi città e i parchi, di avere più tempo e godermi un posto non solo da turista frettolosa ma da cittadina. Ho voglia di disegnare altre mappe, ripercorrere i luoghi già visti, avere una scusa per tornare. Non mi accade per ogni posto che visito, ma questo viaggio ha reso possibile questa magia.

Tag: viaggi

6 commenti

  • Bellissimo post! Ricco, completo, emozionante. Grazie per queste tue lezioni americane da assaporare e su cui riflettere.

  • Bellissimo, bellissimo, bellissimo, traspaiono tutte le emozioni vissute ed elaborate dopo, e a me, che da tempo sogno di andare, e adoro vivere i viaggi invasa da queste emozioni (che mi hanno ricordato le mie in Kenya, tra canyon, animali, terra rossa, messe africane e canzoncine dei bambini nelle scuole) viene ancora più voglia di andare.. Allora a presto West coast, e a presto con te per il racconto di quanto occhi e cuore hanno saputo vedere. Patty mamma di una ormai adolescente

    • A

      Grazie Patty! Sono contenta che traspaiano tutte le emozioni, era proprio quello l’intento!
      Il Kenya è un altro mio grande sogno, speriamo di realizzarlo quando le bimbe avranno qualche anno in più… lo punto!

  • Che bel post Serena!
    Mi hai fatto rivivere un sacco di cose, mi hai fatto fare un salto nel tempo (cosa che con l’America mi accade spesso) e mi hai fatto venire ancora più voglia di tornare( che già ho di mio….)
    Eh sì un road trip americano, tra megalopoli,parchi meravigliosi, e strade infinite, è qualcosa che rimane nel cuore, nel profondo.
    E’ un’esperienza devastante e allo stesso tempo spettacolare! Una volta fatto il primo non si vede l’ora di partire per il prossimo ( come è capitato a noi ;))

    • A

      Grazie Morena! Mi sa che è come dici tu, dopo un road trip non si vede l’ora di partire per quello dopo!
      Spero presto! Grazie per avermi letto!

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