Correva l’anno 2004 e io non ero altro che una giovanissima liceale appena maturata con qualche viaggio in Europa all’attivo. Fino a quel momento non ero mai uscita dalla mia comfort zone, non ero mai stata più lontana di Parigi e Barcellona e non avevo programmato nessun viaggio di maturità con le amiche. L’occasione che si presentò quell’estate fa ancora parte delle cose più belle che abbia mai fatto nella vita, un’esperienza irripetibile che mi ha lasciato tanto dal punto di vista emotivo e di crescita personale… con qualche colpo di scena! Ma andiamo per gradi. (Ve ne avevo già accennato nel post #NeVadoFiero)
A Sarajevo per un campo scout
Correva l’anno 2004, dicevamo, e io facevo parte del gruppo scout Massarosa 1. A differenza delle route estive precedenti che ci avevano portato dalle nostre Alpi Apuane ai massicci centrali della Corsica, per quell’estate decidemmo di dedicarci al servizio e ci unimmo ad una route internazionale a Sarajevo, dove avremmo lavorato fianco a fianco con altri gruppi scout per portare assistenza e svago ai bambini nati e cresciuti sotto assedio durante quella guerra così impressionantemente barbara e vicina.
Ci sistemammo in una scuola nella periferia della città, accampati per terra coi sacchi a pelo e con una cuoca con poca fantasia a nostra disposizione. Mila – questo il suo nome – aveva una predilezione particolare per una sbobba di patate, carote e carne e non spiaccicava una parola di inglese, motivo per cui era sempre accompagnata dal figlio Sasha, di poco più grande di noi e desideroso di sentirsi europeo. Passavamo i pomeriggi con i bambini del vicinato a fare giochi come ruba bandiera e nascondino, cantavamo ognuno nella propria lingua e ridevamo per nulla, come nelle candid camera. Nei momenti morti ci stendevamo sotto un albero con Sasha per sondare col nostro inglese spicciolo i fatti salienti del vivere a Sarajevo in quegli anni, ma soprattutto avevamo una curiosità morbosa sui particolari della guerra, sempre combattuti tra l’essere rispettosi e il sedare la nostra sete di andare al di là del nostro orticello.
In centro a Sarajevo
Oltre all’attività di servizio con i bambini, passavamo il nostro tempo in centro, alternando conferenze con personaggi chiave che ci spiegavano la storia di Sarajevo e della guerra a passeggiate tra monumenti e reperti storici della città. Ricordo la Baščaršija nella città vecchia da cui si diramano stradine acciottolate costellate di negozi di artigianato locale, ricordo il primo impatto con una società multietnica, ricordo questo sentirsi sempre a cavallo tra oriente e occidente, ricordo il primo canto del muezzin della mia vita. Ricordo la moschea a fianco alla chiesa cattolica, ricordo il fiume – la Miljacka – che scorre sinuoso a fianco della famosa Biblioteca che fu bruciata durante la guerra, ricordo i ponti, simbolo di unione e allo stesso tempo bersagli della guerra. Ricordo la targa apposta sul ponte latino per commemorare l’assassinio di Francesco Ferdinando, l’evento che è considerato la miccia della Prima Guerra Mondiale.
Ricordo il mercato di Sarajevo di cui tutti quelli vissuti negli anni Novanta conservano atroci immagini nella mente, ricordo le rose di Sarajevo che altro non sono le buche lasciate dalle granate e riempite di rosso per non dimenticare. Ricordo il colpo d’occhio che si ha della città non appena si sale un po’ più in alto, sulle colline. È un’immagine verde e bianca: il verde della natura che riprende i suoi spazi, il bianco delle croci piantate in ogni spazio libero. Ricordo altro verde sui palazzi: sono i giardini verticali, anch’essi retaggio della guerra, quando ogni spazio coltivabile, fosse anche un minuscolo vaso, era impiegato per coltivare qualcosa di commestibile.
Ricordo quando ci spostammo un po’ fuori città, al tunnel vicino all’aeroporto. È un posto carico di tensione, che adesso che sono cresciuta e ho letto qualche libro in più mi ricorda prepotentemente “Venuto al Mondo” di Margaret Mazzantini. Il tunnel fu costruito durante gli anni dell’assedio della città e costituiva l’unico appiglio col resto del mondo. Ne abbiamo osservato gli spazi angusti, abbiamo visitato il museo, abbiamo pianto. E poi c’è il viale dei cecchini, Snipers Road, che solo a nominarlo vengono i brividi.
Rompersi il naso a Sarajevo
Infine c’è la mia storia a Sarajevo, ossia la città in cui mi sono rotta il naso. [questa parte potete anche saltarla se la vostra reazione è stata “e a me che me ne frega della tua storia!”] Dicevamo di quando mi sono rotta il naso a Sarajevo. Sicuramente è una cosa gloriosa da raccontare, non c’è dubbio. Suona quasi eroico… fino a quando non racconto come ho fatto. Il fatto è che quando rientravamo alla nostra scuola dopo una giornata in bicicletta tra conferenze, visite e giochi con i bambini avevamo ancora voglia di fare gli scalmanati anche la sera prima di andare a dormire. E così facevamo dei giochi scemi durante i quali ridevamo tantissimo. Fu durante uno di questi che presi una sonora ginocchiata nel naso: fu così che vidi le stelle e fui portata da un medico ma solo il mattino dopo, perché tanto io il naso ce l’avevo un po’ storto anche prima e nessuno voleva ammettere che mi ero fatta veramente male.
Questo è accaduto al mio quarto giorno a Sarajevo, ce ne dovevamo stare ancora sei. Le giornate seguenti sono state all’inizio un vortice di eventi – dalla visita in una clinica privata alla decisione che ero da operare subito fino all’operazione stessa, la prima della mia vita peraltro – per poi trasformarsi in vere e proprie lotte per rimettermi in pari con gli altri e non perdermi tutto quello che stavano vivendo. Decisi così di fare tutto anche io, abbandonando ovviamente la bicicletta in favore di un pulmino e addormentandomi in ogni dove e in ogni posizione (dopo un’anestesia totale sfido chiunque a non addormentarsi alle conferenze in serbo-croato con traduzione non simultanea).
Di quei giorni particolari ho dei ricordi netti: sono ancora grata a tutti quelli che mi hanno rivolto un sorriso nonostante assomigliassi a Hannibal Lecter, così come a Giovanni, che era lì quando mi risvegliai dall’operazione e capì subito che avevo bisogno di bere anche se non sapevo come dirglielo perché ero senza forze e mi veniva da piangere; sono grata a quella ragazza che si propose di lavarmi i capelli in una bacinella perché io non potevo riuscirci da sola; sono grata a Boban per avermi insegnato che il caffè bosniaco va bevuto con calma, assaporando insieme al gusto il senso della conversazione.
Mi domando spesso se abbia senso raccontare viaggi ormai distanti nel tempo, sopra le cui foto si sono posati granelli di polvere. La risposta che mi do è che sì, ha senso, soprattutto quando il ricordo di quelle immagini ci fa star bene, soprattutto se quei ricordi ci possono ancora insegnare qualcosa.
Informazioni pratiche
Come arrivare
All’epoca facemmo il viaggio della speranza: da Viareggio ad Ancona in treno (ne cambiammo tre se non sbaglio), poi in nave fino a Spalato, poi in pullman fino a Sarajevo. Al ritorno ci fermammo a Mostar, città bellissima che vi consiglio di visitare (forse il ponte di Mostar vi dice qualcosa). Oggi le possibilità sono molteplici, conosco molte persone che hanno fatto il tour dei Balcani in macchina, oppure ci sono diversi voli che arrivano a Sarajevo ma purtroppo nemmeno uno diretto dall’Italia.
Consigli pratici
Proprio in base alla mia esperienza vi consiglio di stipulare un’assicurazione di viaggio. Se non l’avessi avuta probabilmente sarei ancora a lavare piatti in una bettola di Sarajevo dato che sono dovuta ricorrere a un intervento chirurgico in una clinica privata.
Quanti giorni dedicare a Sarajevo?
Bella domanda. Noi rimanemmo più di una settimana col discorso del servizio coi bambini, però è ovvio che più si rimane e più si avverte sulla pelle lo spirito del luogo. Direi che meno di tre giorni non ne valga la pena.
È una città sicura?
Sì, finché non succede qualcosa di spiacevole, un po’ come in tutta Europa facendo i dovuti distinguo. Valgono le regole di sempre: non ostentare ricchezza, fare attenzione alle cose di valore e, se andate in macchina, parcheggiatela sempre vicino all’hotel e mai in strade secondarie. Per il resto i bosniaci sono molto ospitali e cercano di aiutare, per quanto possibile, con consigli e suggerimenti.
Post sponsorizzato da Holins.it
[Foto di copertina: Damir Bosnjak su Unsplash]
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8 commenti
Teresa Nascè
Ciao Serena, sono Teresa Nascè sono una Scout di Torino, ed anche a me manca tantissimo Sarajevo!!!!; anch’io la ricordo benissimo, lo SLOBOGENE, il mercato. il CAFFE’ ITALIANO; io ero andata, bensì prima di te nel 2000 quando ero Scolta nel Clan del TORINO XIX.
Anch’io ero partita da da Torino ad Ancona, col treno poi in traghetto da ANCONA a SPALATO (con tantissimi Scout!), del PROGETTO BALCANI AGESCI!; da Spalato a Sarajevo con un sgangherato pullman….e noi eravamo nel quartiere cattolico di STUP e dormivamo in una scuola.
Ma so che l’anno scorso, penso un gruppo di Clan di Torino è andato a Sarajevo e infatti dicevo ad un Capo Clan “facciamo scambio”!; mi sarebbe piaciuto e invece sono andata col mio Clan sulle Dolomiti!.
Anche per me, Sarajevo mi rimane ancora adesso nel cuore!!!.
Bellissimo Blog!!!.
Mercoledì
Ciao Teresa,
che commento bellissimo e come è piccolo il mondo!
L’esperienza che abbiamo vissuto sono sicura che ci ha arricchite moltissimo, ci continuo a pensare a distanza di anni.
Peccato non aver più ripetuto una cosa del genere, ma sono sicura che la vita mi riserverà altri viaggi di volontariato e un altro giro a Sarajevo per vedere quanto è cambiata.
Grazie ancora e buona strada!
Eleonora Monelli
Ciao! Sono una scout di Livorno e mi sto informando per una route di servizio a cui dedicarci questa estate con il mio clan. Cercando su internet ho adocchiato questo progetto per clan a Sarajevo, e più mi informo più ho l’impressione che possa essere un’esperienza meravigliosa a 360 gradi, e ben organizzata. L’unico problema è che le fonti che ho trovato sembrano inattive almeno dal 2010. Sto cercando di capire se ci sia ancora una rete di clan che organizza o se il progetto sia sfumato. Sapresti dirmi con precisione come avete organizzato la cosa? A chi vi siete rivolti, altri clan (se si, quali?), o associazioni esterne.. insomma, qualunque cosa! Grazie in anticipo, e complimenti per il blog!
Eleonora
Mercoledì
Ciao Eleonora! Che bello che sei arrivata sul mio blog cercando idee per le route di servizio!
L’esperienza a Sarajevo è stata stupenda (nonostante mi sia rotta il naso!), ma purtroppo sono passati più di 10 anni e può darsi che il progetto non si faccia più, non saprei, ho perso i contatti con gli organizzatori. Noi ci siamo appoggiati all’organizzazione di Anna Scavuzzo, non ricordo nemmeno più di che clan era, comunque è milanese e ho visto cercando adesso su Internet che è in politica nel comune di Milano, non dovrebbe essere difficile contattarla in qualche modo. Là in loco poi c’era tale Boban che coordinava gli scout tra le varie scuole. Spero che riuscirai a metterti in contatto, Sarajevo rimane nel cuore!
Paola_scusateiovado
Ma com’è che mi sono persa questo post fantastico? Dove mi ero ficcata?!
Un bellissimo racconto-ricordo, che rappresenta tutto il cuore agrodolce di questa città incredibile..
Mercoledì
Grazie Paola <3
È quello che dicevo ieri sul tuo post su Shanghai… me l'ero perso per strada e a volte è bello ripescare nei ricordi e negli archivi.
So che puoi capire quando parlo di Sarajevo. Ti abbraccio.
Valentina
Ma sopratutto, una foto conciata alla Hannibal Lecter? 😀
Scherzi a parte, bellissimo racconto. E’ bello rispolverare i viaggi vintage, anche perché si tratta di esperienze di vita che uno ha sempre piacere a leggere. Questo posto mi ha sempre affascinato per la storia che ha vissuto, anche triste, ma credo abbia uno spirito interessante e da scoprire.
Mercoledì
Eheh Vale ce la stavo per mettere la foto, poi me la sono dimenticata… segni?! 😀
Magari in privato 😛
Sarajevo continuo a pensare che meriti, anzi, merita sempre di più: un paio di amici sono tornati da poco e l’hanno trovata bellissima.
Aspetto qualche altro tuo viaggio vintage allora, con l’India mi avevi fatto tanto sorridere, dolcissima!